Speciale Apicoltori - n. 589, maggio 2009
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Leonardo Manfredini
Per un’apicoltura all’insegna dell’umiltà e del confronto
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Leonardo
 cognome  Manfredini
 età  31
 regione  Lazio
 provincia  VT
 comune  Gradoli
 nome azienda  Agriapistica Manfredini e Barozzini - Mellificium Italia
inizio attività  1930
arnie  5000
 apicoltura  Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Millefiori
Eucalipto
Castagno
Sulla
Acacia
 miele prodotto  1500 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Da quando ero bambino. Seguivo mio padre in apiario: non scorderò mai la mia prima settimana di apicoltura vera. Fu nel 1989 durante le vacanze pasquali, avevo 11 anni e mi entusiasmai così tanto all’apicoltura che in seguito, ogni estate era una gioia lavorare con le api.
 
Per quali motivi ha scelto questa strada?
Per passione, penso che questo mestiere mi calzi a pennello, mi sento fortunato; ringrazio mio nonno e mio padre che hanno creduto nell’apicoltura così tanto da riuscire a trasmettermi, anche attraverso innumerevoli difficoltà, la voglia di continuare per la stessa strada. Oggi gestisco l’impresa di famiglia con mio padre Mario, mia moglie Ornella, mio cugino Anderson e vari collaboratori; ma l’apicoltura Manfredini non finisce qui. Mia sorella Miriam e mio cognato Tommaso curano un allevamento di api regine, a Gradoli (VT), con grande attenzione al miglioramento genetico e vendita di sciami artificiali (Allevamento Manfredini e Stella); mio zio Giustiniano, con i figli Marco e Manuela, a Viterbo, e la loro bellissima realtà apistica; mio zio Paolo, con suo figlio Luca, eccellenti apicoltori, a Capodimonte (VT), e Levizzano (MO); poi, abbiamo mia zia Clementina, a Solignano (MO), che ci dona spesso le sue selezioni di api regine che vantano oltre 30 anni di evoluzione; e ancora mia sorella Alicia, a Pavullo di Modena, che commercia in prodotti dell’alveare oltre che prodotti erboristici, trasformazione di cera in fogli cerei ecc… e, non ultimo, mio zio Don Agostino che è un appassionato delle api ed in varie annate ha saputo produrre del buon miele per i suoi confratelli, “Giuseppini”, sparsi per il mondo.
 
Che cosa vuol dire avere una passione per l’Ape?
Le api affascinano da sempre l’uomo per la loro organizzazione sociale, per i prodotti che ci donano e per l’importanza che hanno nell’equilibrio ecologico del Pianeta; poi ritengo che sia stupefacente la loro laboriosità e quanto l’uomo possa plasmarle a suo vantaggio.
 
Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona?
La prima difficoltà in assoluto è la lotta alle patologie dell’alveare: chi vive di questo mestiere sa quanto sia avvilente non riuscire a contrastare adeguatamente varroa, pesti e quant’altro. Penso che gli strumenti legali, che abbiamo a disposizione per contrastare le malattie siano spesso insufficenti. Credo che chi come me gestisce centinaia di alveari sa di che cosa parlo! Me ne rendo conto quando mi confronto con i miei colleghi apicoltori. Siamo quasi tutti in difficoltà a gestire le nostre aziende e quel che è peggio è che i veterinari e gli enti preposti ai controlli, spesso fanno solo repressione verso le nostre pratiche “scorrette” sui nostri apiari ma non si rendono conto che siamo costretti ad agire illegalmente per non perdere tutto. Le nostre associazioni apistiche non riescono mai a far emergere con forza questi problemi nei tavoli di discussione ministeriali ed istituzionali e di conseguenza sono anni che troppi operatori apistici si “arrangiano” e nessuno li aiuta. Altri problemi vengono dagli avvelenamenti, in campagna, da fitofarmaci anche se per me non sono la principale causa di moria, ma ci sono stragi di api in mezza Italia. Io ammiro chi riesce a gestire le api in maniera biologica però, in genere, chi ha dei buoni risultati non ha molti alveari e riesce a visitare le stesse arnie settimanalmente… io ho una frequenza di visite che, se va bene, è ogni 20 giorni e quindi mi vedo costretto a valutare seriamente l’unica strada che, ad oggi, posso percorrere per gestire la mia apicoltura e cioè ridurre drasticamente il numero delle arnie e licenziare i miei cari collaboratori che tanto hanno dato alla mia azienda. Non credo, però, che io dovrei arrivare a tanto; credo, invece, che aziende come la mia siano una ricchezza per la nazione e che andrebbero salvaguardate, altrimenti noi italiani regaleremo le produzioni apistiche ai paesi stranieri ed importeremo solo più miele…
 
Che problemi pone la commercializzazione?
Riesco a vendere abbastanza bene il mio miele. I clienti apprezzano la qualità che offro, ma certamente vendo quasi tutto all’ingrosso in fusti e spesso devo accontentarmi del prezzo; nel miele invasettato, invece, ho più difficoltà perché la concorrenza è spietata nella grande distribuzione e non riesco a gestire una vendita diretta dal produttore al consumatore con uno spaccio aziendale, mercati, fiere o quant’altro. Sto ora cercando di gestire un piccolo numero di alveari certificati biologici per avere una linea di produzione bio, ma ho molti dubbi su come andrà a finire però non per questo mi voglio fermare; d’altronde, mi rendo conto di come sarebbe più bello poter arrivare ad un buon equilibrio con una gestione bio ma ci vuole tempo, specialmente per chi non parte da zero e deve modificare drasticamente le proprie abitudini, senza rimettere tutto o quasi… peccato che nessuno di chi aveva il potere di aiutare al cambiamento realtà come la mia, si sia adoperato perché ciò accadesse.
 
Pratica il nomadismo?
Poco, ci siamo specializzati a fare apicoltura stanziale. La ragione? Si produce meno miele, forse, ma si sta più a casa con moglie e figli e si cerca anche di bruciare meno combustibile possibile, cercando di percorrere distanze inferiori ma purtroppo ho apiari stanziali anche a 100 chilometri per esigenze produttive.
 
Un Apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Non necessariamente. Io non lo sono, anche se mi piacerebbe. Penso che sia sufficiente conoscere i tempi ed i modi di quelle fioriture che porteranno produzione ma sapere qualcosa in più non guasta mai.
 
Che tipo di apicoltura pratica?
Pratico un’apicoltura razionale, stanziale appunto per la maggiore, dove vengono custodite e tramandate da generazioni le conoscenze apistiche, dove si fa tesoro degli errori commessi e delle esperienze. Siamo da sempre aperti al confronto con i colleghi anche internazionali e non mi stancherò mai di dire quanto ciò sia importante per noi apicoltori; dobbiamo essere umili senza mai pensare di aver raggiunto la perfezione o di essere noi meglio degli altri perché così ci si ferma di crescere e maturare. Le mie arnie sono Dadant Blatt da 12 favi con melario da 10 favi. Faccio postazioni da 40/55 arnie e non eccedo mai da questo numero; visitiamo gli apiari in tre squadre ed ho operai fissi tutto l’anno che se non devono fare lavori in apiario costruiscono e curano il materiale apistico di cui l’azienda necessita oppure si occupano della smelatura, preparazione e stoccaggio del miele.
 
Cosa direbbe agli apicoltori che usano antibiotici?
A chi li usa dico di stare molto attenti; chiaramente, ad oggi, è vietato l’utilizzo anche se credo che l’antibiotico sarebbe un importante aiuto per molte patologie. Io in questo momento ne sconsiglio l’utilizzo perché con solo quei 5ppb di tolleranza di un eventuale residualità nel miele si fa presto a non rientrare più nei parametri per commercializzarlo e siamo poi soggetti a sanzioni. Io ho scelto di non usare più antibiotici da vari anni ma non mi trovo molto bene; gli apicoltori di vecchia data hanno quasi tutti sperimentato la conduzione degli apiari con antibiotici e questi sanno che la gestione di certe patologie è molto più semplificata. Se un giovane apicoltore, però, mi chiede consiglio in merito agli antibiotici io lo esorto a non utilizzarli perché una volta intrapresa questa strada è difficile uscirne senza danni. In coscienza dico, tuttavia, a quelle persone che accusano certi apicoltori di usare antibiotici che quegli apicoltori hanno imparato ad utilizzarli in passato partecipando a corsi di apicoltura o semplicemente leggendo un libro… Oggi tutti se ne lavano le mani, dagli istituti collegati all’apicoltura ai vertici associativi, ma poi, sotto sotto, si continua a ricorrervi.
 
Che consiglio darebbe agli apicoltori?
Io ora sto imparando con tanta difficoltà a farne a meno, ma non mi ha aiutato nessuno.
 
Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
Non credo di avere la bacchetta magica, penso che la mia azienda sia, in certe cose, all’avanguardia ma certamente non si può intraprendere un discorso così vasto di gestione liquidandolo in poche righe; ultimamente, poi, la mia azienda sta affrontando molti cambiamenti di gestione e siccome sono cose ancora in fase sperimentale non mi sento di dare un’opinione in merito. Comunque, mi sento di dire che la forza di un’azienda sta nella capacità di innovare, nel coraggio di confrontarsi con gli altri e di ricevere anche critiche.
 
Come lotta contro la varroa?
La varroa è la nostra dannazione da oltre 25 anni e ad oggi combatterla è ancora molto difficile. Non vorrei ripetermi ma insisto sul fatto che avremmo bisogno di più strumenti per difenderci. Come che sia, in annate normali si può combattere abbastanza bene con quei prodotti legalmente diffusi e che tutti conosciamo, agendo specialmente in assenza di covata e cercando comunque di produrre molti sciami artificiali per far fronte alle perdite che quasi regolarmente si hanno… è un bel calvario comunque!
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
L’associazionismo funziona poco, la polizia veterinaria pure (non abbiamo quasi veterinari competenti in apicoltura, ma tuttavia vogliono insegnarci il mestiere), la ricerca non mi sembra che ci dia grandi soddisfazioni e dulcis in fundo non siamo capaci a promuovere adeguatamente il nostro miele italiano! È troppo importante fare pubblicità oggi giorno, noi abbiamo bisogno di aumentare la cultura del consumo di miele che in Italia è troppo scarso; il miele lo meriterebbe perché è veramente un alimento eccezionale.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
Per fortuna noi apicoltori, nel senso che nonostante tutti i problemi andiamo avanti.
 
Cosa rappresentano per lei le api?
Una passione, il mio lavoro, tante speranze, una forte realtà della natura che lotta per la sopravvivenza, come tutti gli esseri viventi poi, e un esempio di mille virtù da imitare.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Ricordo nel periodo che feci il servizio militare che la chiamata mi arrivò come una pugnalata alla schiena perché ero a pieno ritmo al lavoro con mio padre e feci di tutto per non farlo. Invece, dovetti partire e il mio pensiero fisso era come potevo fare per prendermi delle licenze per lavorare in apicoltura. Alla fine capii che non era possibile ma fui tra le reclute più zelanti della caserma ed il colonnello, il comandante di tutti là dentro, si congratulò con me per essere tanto efficiente e mi disse che mi avrebbe dato una licenza premio; così spiegai che per me era molto importante perché mio padre aveva bisogno di me e allora oltre la settimana di licenza straordinaria mi concesse qualche altro giorno, prendendomi in simpatia. Ora ricordo sempre con gioia quell’anno passato sotto le armi e sono contento perché fu una bella esperienza.
 
Aspettative future della sua attività?
Spero che Dio mi conceda tanta salute e la conceda a tutte le persone perché senza di quella manca quasi tutto. Vorrei che fra apicoltori ci fosse più voglia di confronto e che si imparasse a valutare le persone non fermandosi alle apparenze ma un po’ alla volta conoscendole sempre meglio, per evitare di crearsi e creare pregiudizi: io per primo! E ci sia meno ipocrisia e più capacità di migliorarci. Grazie ad Apitalia.
 
 
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Leonardo Manfredini
 
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