• Michele Mottalini |
L’apicoltura ha bisogno di maestri |
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio |
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CARTA DI IDENTITÁ |
nome |
Michele |
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cognome |
Mottalini |
età |
43 |
regione |
Lombardia |
provincia |
VA |
comune |
Prealpi Varesine |
nome azienda |
Mottalini Michele |
inizio attività |
1996 |
arnie |
650 |
apicoltura |
Nomade e Stanziale |
tipo di api |
Apis Mellifera Ligustica
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tipo di miele |
Tarassaco
Acacia
Castagno
Ciliegio
Tiglio
Millefiori
Melata di abete
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miele prodotto |
350 quintali/anno |
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• L'Intervista |
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Come ha iniziato l'attività di apicoltore? |
Con mio zio, Domenico Porrini: una figura che sicuramente molti lettori di Apitalia ricorderanno. Era l’autunno del 1977, con Piana e Vangelisti stavano preparando un fornitura di circa 6000 sciami alla Libia, io all’epoca avevo 13 anni, serviva aiuto per trasportare le cassette di api in aeroporto così lo zio mi chiamò “a dare” una mano. Devo dire che queste tre persone sono state l’apicoltura italiana per parecchi anni e da loro è partito lo sviluppo che poi ha interessato questa attività nel nostro Paese.
Purtroppo Piana e mio zio Domenico non ci sono più. Mi sento spesso con Giorgio Vangelisti per rapporti di lavoro e piacevoli chiacchierate. Ma torniamo ai ricordi. In quegli anni divenne, quindi, una regola andare a lavorare con le api durante le vacanze estive e con me venivano anche i miei fratelli.
Le punture non mi spaventavano e le levatacce per i trasporti erano sempre un divertimento e un’emozione.
Finite le scuole medie iniziai a studiare all’Istituto Tecnico, ma dopo qualche anno mi accorsi che quella non era la mia strada. La ragione? Il richiamo delle api era forte e chiaro, così fui assunto, a tempo pieno, a lavorare nell’azienda dello zio, e la sera frequentavo un corso di inglese.
All’inizio ero il garzone dei garzoni, ma poi, dico finalmente, un bel giorno mio cugino, Mauro Porrini, mi mise in mano l’affumicatore e la leva apostrofandomi così: oggi “travasi” anche tu.
Da allora quelli sono diventati gli attrezzi del mestiere.
Ho passato in quell’azienda circa 15 anni, le famiglie di api aumentavano ogni anno raggiungendo alla fine degli anni ottanta e all’inizio dei novanta le 3000 unità.
Sono stati anni di intenso lavoro ma anche di gioia e spensieratezza, con spostamenti che andavano dalla Lombardia al Piemonte, dalle Marche alla Toscana, dai 2000 metri del passo delle Navette alla Piana di Catania e alla Puglia.
C’era una squadra molto affiatata composta da fratelli e cugini: era quasi un gioco spostare 300 alveari per notte o togliere 500/600 melari in un giorno. Nel 1995 cambiarono un po’ di cose e così decisi di mettermi in proprio, mantenendo sempre ottimi rapporti con con lo zio e i miei cugini, soprattutto con Mauro con il quale mi confronto ancora quotidianamente.
Nel 1997 purtroppo lo zio morì e consentitemi di dire che questa non è stata solo una perdita affettiva, ma è stata soprattutto una perdita per tutta l’apicoltura italiana. Domenico Porrini, infatti, ha dato tanto a questo settore. Era una persona molto carismatica che sapeva mettere d’accordo tutti e penso che la sua presenza sarebbe molto utile in questo momento, considerando i problemi che dobbiamo affrontare.
Voglio ricordare che in occasione del decennale della sua morte, lo scorso 8 Dicembre, giorno di S. Ambrogio, l’Associazione Apicoltori di Varese ha intitolato la sua sala riunioni a Domenico Porrini e per questo ringrazio pubblicamente l’amico Guido Brianza Presidente dell’Associazione e tutto il consiglio direttivo. |
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Per quali motivi ha iniziato? |
Perché l’apicoltura è un lavoro che ti entra nel sangue e nel DNA. Penso che non potrei fare altro. Poi, si sta a contatto costante con la natura. |
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Cosa significa avere una passione per l’ape? |
Vuol dire non smettere mai di ammirare questo meraviglioso insetto per tutto quello che è in grado di fare, stabilire un rapporto, un feeling fortissimo. Qualcuno ha scritto che l’ape ha l’organizzazione che l’uomo avrà solo nel 3000. Quindi il suo comportamento, il suo modo di vivere dovrebbe essere preso come esempio anche dalla nostra società. |
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Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona? |
Sinceramente penso di essere fortunato a stare in una zona come le Prealpi Lombarde. Si produce un’ottima acacia, molto chiara e pura, un buon castagno, millefiori, nelle Valli del Luinese anche del buon tiglio e nella zona sud della provincia di Varese anche melata di metcalfa.
Le difficoltà sono dovute al fatto che in primavera si deve intervenire con la nutrizione artificiale in quanto non ci sono grosse fioriture che permettono alle api di sviluppare. Finito il castagno, poi, soprattutto dove non c’è melata, praticamente le api non trovano più grosse fonti nettarifere.
E non è tutto.
L’apporto di polline diminuisce sensibilmente, allora chi non pratica nomadismo deve, anche in questo caso, intervenire con la nutrizione.
In caso contrario, le api entrano in una fase di regressione che apparentemente non si vede ma di fatto è già in atto e di riflesso sono molto più vulnerabili dal punto di vista sanitario perché vengono a mancare gli apporti proteici e nettariferi necessari. |
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Che problemi pone la commercializzazione? |
Considerando che circa l’80-90% della mia produzione è venduta all’ingrosso, il primo problema è quello del prezzo del miele che in questi ultimi 3 anni è sceso a livelli veramente troppo bassi. In seguito a questa tendenza far quadrare i conti è diventato sempre più un gioco di prestigio, piuttosto che una faccenda contabile. Comunque, considerando la situazione sanitaria delle nostre api con le perdite che ci sono state e il fatto che in paesi come l’Argentina le produzioni sono state molto scarse, penso che i prezzi quest’anno siano destinati sicuramente a salire. |
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Lei fa nomadismo? |
Certo, inizio in primavera con il raccolto del tarassaco in pianura Padana, poi mi sposto nelle zone dove l’acacia fiorisce prima, quindi in collina per tentare di sfruttare la coda dell’acacia, sul castagno, il tiglio e i millefiori e di nuovo nelle pianure e nelle vicinanze dei fiumi per le melate. Finita la fase produttiva riporto la maggior parte degli alveari a svernare nella mia zona. |
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L’apicoltore deve essere anche un esperto botanico? |
Personalmente non sono un esperto botanico, ma se uno lo è, buon per lui. Avere nel proprio bagaglio culturale qualcosa in più non guasta: ci accompagna durante tutta la vita e può sempre tornare utile. Penso, però, che la cosa importante sia quella di imparare ad ascoltare la natura: è lei, infatti, che sussurra i tempi e i ritmi di lavoro e se si vuol fare il contrario si perde già in partenza. Mauro Corona, grande scrittore, scrittore ligneo, alpinista e arrampicatore, a tal proposito ha scritto dei libri molto interessanti. Un suo verso: “Finché il cuculo canta vale la pena di ascoltarlo”. Dobbiamo imparare a leggere le stagioni e le situazioni che di volta in volta si presentano in modo diverso. Credetemi non è facile e soprattutto non si impara in poco tempo. |
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Che tipo di apicoltura pratica? |
Apicoltura di tipo tradizionale, che se fatta con sani criteri ha molti passaggi in comune con l’apicoltura biologica. |
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Cosa direbbe agli Apicoltori che usano antibiotici?
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A tal proposito dico che soprattutto in questi ultimi anni c’è stata un’evoluzione. Gli apicoltori, mi riferisco ai professionisti, sono prima di tutto imprenditori agricoli e come tali non possono rischiare di inquinare grosse partite di miele con gli antibiotici, considerando il livello delle analisi del miele che è stato raggiunto.
In caso contrario, oggi, si carica un camion di fusti per la vendita, ma poi dopo pochi giorni te lo ritrovi in cortile ancora da scaricare, non dimenticando poi le responsabilità penali e morali. Io mi sento di dire che la maggior parte degli apicoltori non usa antibiotici. Certo è paradossale il fatto che nel 2008 l’unico rimedio per curare la peste americana sia ancora il fiammifero e che a livello legislativo e sanitario non sia previsto nessun tipo di intervento per risolvere il problema. |
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Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
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Continuos improving system, sono i sistemi con i quali le grandi industrie migliorano i loro processi produttivi analizzando ogni fase di lavoro e cercando di migliorarla nei tempi e nei modi. Ora qualcuno potrebbe mettersi a ridere, ma se questo principio lo trasferissimo nelle nostre aziende con le dovute proporzioni, per la realtà che ognuno rappresenta, penso che anche nel nostro settore i risultati potrebbero essere molto soddisfacenti. |
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Come lotta contro la varroa? |
Con il coltello fra i denti! Scherzi a parte, è risaputo che i prodotti che attualmente abbiamo a disposizione non funzionano, o meglio funzionano solo in particolari condizioni. Credo che molti colleghi siano d’accordo sul fatto che per la lotta alla varroa la ricerca praticamente non esiste e siccome facciamo parte dell’Europa unita e la varroa è quindi un problema non solo Italiano ma europeo sarebbe opportuno che i nostri rappresentanti andassero a Bruxelles a picchiare i pugni sul tavolo. Non c’è solo l’inflazione da tenere al di sotto del 3%, impiccando, di fatto, migliaia di persone per la storia dei tassi d’interesse. Si potrebbe chiedere di mettere a disposizione somme di denaro per finanziare in modo serio la ricerca di prodotti in grado di contrastare efficacemente la varroa. Io sono convinto che il tutto potrebbe essere realizzato in tempi veramente brevi. |
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Cosa non funziona nel mondo apistico? |
Mi ripeto: i prodotti per la lotta alla varroa! |
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Cosa funziona in apicoltura? |
L’organizzazione che le api hanno e la passione che ogni apicoltore mette in ogni istante del suo lavoro. |
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Cosa rappresentano le Api per lei? |
Nell’ordine: un gioco, un divertimento, una passione, un lavoro. |
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Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
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Ce ne sono parecchi, ma il cuore mi riporta al periodo in cui lavoravo con lo zio. Primavera 1992 (annata eccezionale per l’acacia come gli anni con cadenza 6: 1976, 1986, 1996, 2006): con 3 autocarri avevamo caricato gli alveari in pianura per scaricarli, poi, nella zona di Saronno per il raccolto di acacia, erano circa le 3 di notte, e ci apprestavamo a scaricare in postazioni nuove in un’area adiacente la zona industriale. A nostra insaputa, però, quella era una zona solitamente frequentata da ladri di auto e un vigile notturno, visti 3 camion che si dirigevano verso i boschi, spaventatosi, pensò bene di chiamare i carabinieri.
Nel frattempo noi avevamo già ultimato lo scarico delle api, quando all’improvviso ci siamo trovati circondati da una decina di militari con il mitra spianato che gridavano: “fermi e mani in alto”. Devo dire che sono stati istanti interminabili, poi con la calma siamo riusciti a spiegare il motivo per il quale ci trovavamo in quella zona e tutto si è fortunatamente risolto. Alla fine, un ragazzino che lavorava con noi mi disse: “Michele io credevo di essere su scherzi a parte”. |
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Aspettative future dell’attivita? |
Dobbiamo assolutamente vincere la battaglia contro i neonicotinoidi.
Anzi, sono certo che si vincerà altrimenti si celebrerebbe la vittoria della follia sul buon senso.
Ma attenzione, serve farlo in tempi brevi perché la primavera 2009 è già dopodomani.
Per fare questo è necessario che tutte le associazioni apistiche si muovano nella stessa direzione e che quelle agricole, di categoria, assicurino il loro supporto e il loro peso politico nel coordinare ogni operazione.
Per quanto riguarda il miele mi piacerebbe vedere degli spot che pubblicizzino il Prodotto Italiano, magari mostrando un nonno apicoltore che spalma su un pezzo di pane del buon miele per il suo nipotino. Un saluto e buoni raccolti per tutti. |
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