• Marco Tullio Cicero |
Dalle api con il cuore |
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio |
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CARTA DI IDENTITÁ |
nome |
Marco Tullio |
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cognome |
Cicero |
età |
41 |
regione |
Lazio |
provincia |
RM |
comune |
Castelli Romani |
nome azienda |
Apicoltura Cicero |
inizio attività |
1983 |
arnie |
300 |
apicoltura |
Nomade e Stanziale |
tipo di api |
Apis Mellifera Ligustica
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tipo di miele |
Acacia
Castagno
Millefiori
Eucalipto
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miele prodotto |
80 quintali/anno |
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• L'Intervista |
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Come ha iniziato l'attività di apicoltore? |
Ho iniziato praticamente quando frequentavo l’istituto tecnico di agraria. Venivo da una famiglia che non possedeva terreni e quindi l’apicoltura mi sembrava un ottimo modo per lavorare nel settore anche senza avere a disposizione un terreno, appoggiandomi su terreni altrui.
Poi, avevo già qualche professore che allevava api e quindi dentro di me è sbocciato con facilità l’interesse per il mondo delle api. In seguito ho sviluppato e approfondito il discorso frequentando diversi corsi.
Nei primi stage ho avuto come insegnante Stefano Spiccalunto dell’associazione 4A - Associazione Amici delle Api e dell’Ambiente. Il corso più importante che ho seguito è stato quello organizzato dall’Istituto Nazionale di Apicoltura tenuto a Bagno di Romagna, era un corso per esperto apistico di dodici giorni ed è stata una esperienza unica. |
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Per quali motivi ha iniziato? |
Il mio primo desiderio è stato sicuramente quello di avere un futuro in agricoltura, poi dopo aver conosciuto l’ape la passione l’ha fatta da padrone.
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Cosa significa avere una passione per l’ape? |
Vorrei citare a tal proposito quello che diceva il compianto cavaliere Domenico Porrini, per altro quest’anno siamo dieci anni dalla sua morte.
Lui sosteneva che l’ape per noi apicoltori è un po’ come l’aria, è una creatura che una volta conosciuta difficilmente puoi farne a meno.
Queste frasi le sento continuamente risuonare dentro di me, nonostante tutti i problemi che purtroppo in questi ultimi anni dobbiamo affrontare. |
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Si tratta di problemi legati all'ape? |
Assolutamente no. Una doverosa premessa. L’apicoltura gestita solo per profitto è una attività che non si può assolutamente condurre. E ne spiego le motivazioni. L’apicoltura è un’attività che principalmente va portata avanti per passione, poi se uno riesce anche a costruire un reddito e una piccola azienda è sicuramente qualcosa in più. Le difficoltà ovviamente ci sono sempre state, ma in questi ultimi anni stanno prendendo una piega, se vogliamo, anche catastrofica dal punto di vista dell’allevamento.
E’ certo che l’ape in tutto questo è innocente, la colpa purtroppo è sempre dell’essere umano che inquina l’ambiente con pericolosissime molecole chimiche che fanno male alla salute dell’uomo e dell’ape. |
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Cosa rappresentano le Api per lei? |
L’aspetto che ammiro di più è la tenacia che ha nel voler sempre andare avanti. E’ una tenacia rafforzata dal concetto che l’unione fa la forza, perché dobbiamo vedere ogni singola ape come cellula di un unico organismo, in cui la singola ape è utile a tutte le altre. Questa coesione fa capire l’importanza dell’unione per cercare di andare avanti pur tra le mille emergenze che si presentano ogni giorno. |
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Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona? |
Fino a quattro anni fa la situazione era abbastanza tranquilla, ora il problema più grande è l’andamento climatico. Non è un modo di dire, ma le quattro stagioni non ci sono veramente più. Un esempio. L’inverno scorso non è stato freddo e per la prima volta ho avuto nella mia zona la persistenza di covata durante tutto l’anno, a gennaio avevo già due o tre telaini di covata, in un’area che è sempre stata fredda. Poi abbiamo anche lunghi periodi siccitosi e piogge copiose, concentrate in poco tempo. Un altro grande problema sta nella recrudescenza di tutte le malattie dell’alveare specialmente della varroasi e in questi ultimi anni anche della peste americana. L’incremento della peste credo sia dovuto al fatto che gli antibiotici si usano sempre meno, visto il grande clamore creato dai media dopo il rinvenimento di antibiotici nei vasetti di miele in commercio. |
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Che problemi pone la commercializzazione? |
Nella nostra realtà aziendale non abbiamo grosse difficoltà. Il vero problema, forse, è quello di garantire la produzione. Per quanto ci riguarda, abbiamo messo in piedi la vendita diretta in azienda, privilegiamo il rapporto con il consumatore.
Non trascuriamo anche la vendita all’ingrosso e così serviamo diversi negozi nel Lazio e in altre regioni d’Italia. |
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Pratica il nomadismo? |
Sì, pur se c’è da dire che la zona in cui conduco le api è molto produttiva. In parole povere abbiamo un’apicoltura prevalentemente stanziale perché durante l’anno riusciamo ad ottenere anche quattro raccolti di acacia, castagno, mille fiori e melata. Il nomadismo lo pratichiamo soltanto a corto raggio, in un arco di settanta chilometri: spostiamo gli apiari nella provincia di Latina per la produzione del miele di eucalipto. |
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Cosa pensi del nomadismo? |
E’ una tecnica apistica molto interessante, perché ci sono molte realtà aziendali che si trovano in zone poco produttive e senza il nomadismo non potrebbero produrre il miele.
Ho anche la fortuna di conoscere tanti colleghi apicoltori che lo praticano e so che sono persone serie e responsabili che spostano esclusivamente alveari sani. Dunque, tutti i discorsi che imputano ai nomadisti di portare in giro le malattie è soltanto un nascondersi dietro un dito. La ragione della mia asserzione? Semplice, ci sono degli apicoltori stanziali che non sono degni di portare il nome di apicoltori ma sono soltanto dei detentori di api e sono loro a provocare seri problemi. Durante la mia attività mi è capitato di incontrare pseudo apicoltori che veramente non sanno distinguere una varroa. Non so se è una mancanza di formazione o una questione di ignoranza attiva, perché ci sono ancora molti apicoltori che non denunciano gli alveari per paura che ciò possa scatenare tutto un discorso fiscale: si può stare delle ore a cercare di far loro capire che le api si possono tenere anche per autoconsumo senza cavare un ragno dal buco.
Molti apicoltori hanno radicata la mentalità di doversi nascondere. E’ un gravissimo errore di valutazione: essere nascosti non li fa progredire o migliorare. Insomma, è normale se ogni tanto mi trovo a parlare con persone che non sanno distinguere una regina da un fuco e tantomeno non fanno trattamenti contro la varroasi perché magari qualche amico gli ha detto che è meglio. |
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Cosa porta l'apicoltore a nascondersi? |
A mio modesto giudizio come ho già accennato in precedenza credo sia la paura di dover fare i conti con una situazione fiscale. Da non sottovalutare anche la gelosia, del resto è anche uno dei grandi problemi che affligge la mia zona perché ancora si pensa che il pascolo non basta per tutti. In questo caso sembra proprio che l’apicoltore non impari niente dall’ape: sono tenute soltanto per produrre miele e per ricavarne un profitto. |
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L’apicoltore deve essere anche un esperto botanico? |
Credo di si, perché l’ape vive e lavora sui fiori. Allora un apicoltore se vuole condurre in maniera più redditizia possibile le api, ma senza sfruttarle, deve conoscere almeno la flora della zona in cui opera. Conoscere le fioriture scongiura di lavorare a vuoto. Io vedo molti apicoltori che proprio per il fatto di non conoscere le diverse specie botaniche fanno un’unica smielata e il bel risultato e che spesso esce fuori un millefiori che, per carità è buono, è molto ricco di castagno e acacia: nel vasetto va a finire un assembramento di diversi mieli. E allora si chiederà qualcuno? Allora può capitare che al consumatore, magari, quella punta di amarognolo all’interno del millefiori non piace. Così si rovina il mercato, mentre avrebbero potuto smielare l’acacia prima e venderla a un prezzo maggiore. |
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Che tipo di apicoltura pratica? |
Attualmente ho iniziato l’iter di certificazione per il biologico con l’ente certificatore ICEA. |
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Molti apicoltori contestano il biologico, ma ha una ragione tale atteggiamento? |
Credo di no, visto che l’apicoltura deve essere rigorosamente fatta in ambiente sano e pulito perché altrimenti si è fuori dalla legge. La paura è forse di essere controllati e di essere costretti ad usare ben precisi farmaci nella lotta alle malattie che colpiscono l’alveare. |
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Cosa direbbe agli apicoltori che usano antibiotici? |
Prima di tutto sono vietati, e questo dovrebbe bastare di per sé a far capire che non dovrebbero essere usati.
Poi, ammesso e non concesso che si vogliono utilizzare, io credo che sia necessario far intervenire gli Enti preposti per dirci veramente come stanno le cose. Da quello che ho appreso fino ad oggi so che l’antibiotico svolge una funzione batteriostatica e non battericida, ovvero per un certo periodo ti oscura la malattia, te la copre, te la ferma, però, in realtà, le spore rimangono belle vive all’interno del meccanismo alveare, pronte a esplodere quando si ripresentano le condizioni favorevoli. |
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Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
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Una delle tecniche più frequenti è quella di spostare in continuazione api e telaini, per cercare di rafforzare o di pareggiare le famiglie o di fare produzioni particolari come quella della pappa reale o delle api regine. |
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Come lotta contro la varroa? |
Già prima della certificazione biologica ho sempre lottato utilizzando gli acidi organici, come l’acido lattico e il formico. Attualmente adopero per il trattamento tampone Apilife Var e per il trattamento di ripulitura acido ossalico. Quest’anno siamo stati costretti però ad effettuare anche nel corso del passaggio dall’inverno alla primavera dei trattamenti supplementari sempre utilizzando l’acido ossalico sgocciolato, per cercare di abbassare il potenziale di partenza della varroa. Il motivo sta nel fatto che quest’anno c’è stato sempre un inverno mite e c’è sempre stata presenza di varroa e quindi l’infestazione rischiava di essere molto alta.
Come che sia, non c’è un trattamento standard da ripetere tutti gli anni, questo perché la situazione è in continua evoluzione. Ripetere lo stesso calendario per dieci anni è diventato impossibile. Una volta si diceva che andavano fatti due trattamenti, quello tampone subito dopo la smielatura e quello di ripulitura invernale, già questo approccio è cambiato completamente perché ogni volta che si usa l’acido ossalico cadono centinaia di varroe. Siamo in continua evoluzione e non si può mai dire di essere arrivati a capire come funziona: la tranquillità in apicoltura non esiste. |
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Cosa non funziona nel mondo apistico? |
Principalmente le associazioni, sono troppe e tirano tutte l’acqua al loro mulino senza mai arrivare da nessuna parte. Tante parole, tante promesse e soldi della Comunità Europea che vanno in fumo. Non funziona la gelosia in apicoltura. Ci sono troppi apicoltori che hanno paura che gli si rubi il mercato e la produzione. Sono gelosi del loro territorio e delle loro risorse nettarifere e sono gelosi del loro mercato perché pensano che sia esclusivamente il loro. Questa paura fa si che questi apicoltori rimangono a guardare soltanto il proprio orticello senza far crescere l’attività e chi magari gli sta intorno. |
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Cosa funziona nel mondo apistico? |
Gli apicoltori bravi, che ti danno modo di stare a contatto con loro e ti aiutano ad imparare senza secondi fini e gelosie. La collaborazione quando c’è funziona, come fa l’ape. |
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Cosa rappresentano le Api per lei? |
L’ape è come l’ossigeno, è un fattore indispensabile. |
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E il reddito? |
Il reddito per chi fa apicoltura per passione è un discorso un po’ secondario. E’ però certo che in questi ultimi anni sta diventato un discorso importante perché quello delle aziende apistiche è ai minimi storici. |
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Come possono legarsi imprenditoria e apicoltura nel rispetto dell’ambiente? |
L’apicoltura può diventare un’attività imprenditoriale, ma credo che anche se fatta a scopo di lucro, a livello imprenditoriale, non può prescindere dall’ambiente. L’ape è l’ambiente, perché ci vive e produce nell’ambiente. Gli apicoltori dovrebbero capire che non possono alterare il meccanismo tra ape e natura, potrebbe ritorcersi contro. Il problema è che le associazioni che spesso sono latenti dovrebbero impegnarsi a farlo capire a chi non è apicoltore, cominciando dai signori politici. |
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Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
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Vorrei ricordare quando ho conosciuto il cavaliere Domenico Porrini. E’ un incontro che ho ancora nel cuore.
Un ricordo. Correva il 1995 ed eravamo a Faenza ad ApinFiera. Avevo letto ogni cosa scritta da lui e ancora la conservo. Uscendo dalla Fiera l’ho incontrato e mi sono permesso di presentarmi, io allora ero un piccolo apicoltore mentre lui nel pieno della sua attività apistica.
Fu molto cordiale e rimasi incantato dal fatto che si fermò a sentirmi e ad ascoltarmi.
L’incontro per me è stato fondamentale perché per me era la figura che incarnava l’incontro tra natura, apicoltura e imprenditoria: non a caso era riuscito a creare per l’epoca una delle aziende apistiche più note sia a livello nazionale che a livello internazionale.
Per me è sempre stato un punto di riferimento, tanto è vero che appena posso rileggo i suoi scritti e, a prescindere dalla data in cui è stato scritto l’articolo, è sempre attualissimo: già dieci, quindici anni fa affrontava dei temi che oggi sono ancora attuali in apicoltura. |
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Ci sono altre persone che l’hanno aiutata nel suo percorso apistico? |
Vorrei citare con grande affetto il cavaliere Luciano Orazi recentemente scomparso, il 19 marzo scorso, è stata figura di grande stimolo, perché era sempre aperto a dare molti consigli utili.
Come affinità di azienda apistica mi sono sempre interessato a diverse produzioni, non soltanto il miele. Infatti oltre al miele, che rimane la nostra spina dorsale, produciamo anche sciami ed altri prodotti detti minori come il polline, la pappa reale, e la produzione di api regine.
A tal proposito vorrei ringraziare Massimiliano Fasoli che mi ha trasmesso gli input per quanto concerne la produzione del polline e poi l’amico Gian Marco Facciani, grande allevatore di api regine. |
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Aspettative future della sua attività? |
Ci sarebbe tanta voglia di crescere e di andare avanti, perché attualmente per quanto ci riguarda il problema più grande non è la vendita ma è il produrre. Purtroppo le condizioni degli ultimi anni, sia a livello climatico che sanitario, hanno molto ridotto le produzioni. Ad esempio, quest’anno non siamo riusciti a produrre polline. Sono sicuro che ci vorrebbe una maggiore vicinanza degli Istituti per risolvere i tanti problemi con cui ci confrontiamo ogni giorno. |
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Marco Tullio Cicero |
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