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 L'uomo e l'ape
Apis sicula maior: un’esperienza di selezione in Sicilia
 
di Carlo Amodeo
 
Torna a ronzare, dopo venti anni di costante impegno volto alla selezione e salvaguardia di un ridottissimo numero di alveari scampati alla varroasi, l’Apis sicula maior, razza autoctona siciliana, chiaramente distinta - geneticamente e morfologicamente - dall’Apis mellifera ligustica. Classificata dal grande genetista Friedrich Ruttner, viene oggi rivalutata e valorizzata per una migliore produttività dell\'apicoltura locale
 
Prima d’iniziare a raccontare la storia dell’ape autoctona siciliana occorre fare una breve ma importante premessa: l’attuale esistenza dell’ape sicula certificata è dovuta per massima parte alla passione, alla tenacia scientifica e, non ultima, all’umanità del compianto professor Pietro Genduso, dell’Istituto di Entomologia Agraria dell’Università degli studi di Palermo.
Nel contesto dell’agricoltura ed in particolare dell’apicoltura siciliana, già nel 1988, mi vidi incoraggiato dal professor Genduso nella ricerca di api “nere” e trovai nei pressi dell’aeroporto di Palermo, in un apiario composto da venti arnie e abbandonato da almeno un decennio, cinque famiglie sopravvissute all’abbandono ed alla infestazione di varroa che dal 1986 aveva decimato gli alveari in Sicilia. Tre di queste famiglie erano nere ed estremamente docili, come mai era capitato di vedere in precedenza; fu un vero colpo di fulmine! All’analisi elettroforetica (allele S del locus esterasi, presente esclusivamente in popolazioni di api residenti in Sicilia) risultarono pure rispettivamente all’83% , 87% e 95%. Di qui l’immediato intervento di isolamento di questo ceppo che fu trasferito sull’Isola di Ustica, dove preliminarmente era stata accertata l’assenza di api mellifere; operazione che, dopo qualche anno di incroci, ha consentito di raggiungere per tutte le famiglie presenti una purezza elettroforetica del 100%. Successivamente è stato avviato un vero e proprio progetto di salvaguardia, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia cellulare dell’Università degli studi di Palermo (professoressa Anna Maria Pirrone e dottor Salvo Biondo), finanziato dal POP 94/99, dal titolo “Salvaguardia, selezione e miglioramento dell’Apis mellifera sicula”, grazie al quale fu effettuata la comparazione tra Apis mellifera ligustica e Apis mellifera sicula. Quel progetto permise il ritrovamento e il salvataggio di altre 7 famiglie di sicula.
L’I.N.A. - Istituto Nazionale Apicoltura, per il tramite del dottor Marco Lodesani, analizzò biometricamente i campioni delle famiglie di api sicule che erano risultate pure all’analisi elettroforetica e che risultarono conformi per circa il 65% anche ai valori morfometrici indicati dal grande ricercatore e genetista delle api, Friedrich Ruttner. Scartate dunque le famiglie di api non conformi ai due parametri, furono isolate e separate due ben distinte linee genetiche presenti sulle isole di Filicudi e Vulcano, nell’Arcipelago delle Isole Eolie, in provincia di Messina. Ancora una volta in un ambiente privo di fauna apistica e nel quale, grazie alla dottoressa Sinacori, docente di Apicoltura presso l’Università di Agraria di Palermo, vige il divieto assoluto di importare api che non siano sicule pure e certificate come tali dagli Istituti di ricerca competenti.
Nel 2002, grazie a questo lavoro di selezione, ho ottenuto l’iscrizione all’Albo degli allevatori di regine di razza sicula curato dall’Istituto Nazionale di Bologna e da quel momento ha avuto inizio la selezione produttiva e comportamentale.
Nel 2003, in occasione del Congresso Apimondia svoltosi in Slovenia, presentai un poster con le caratteristiche dell’ape sicula e con i risultati della comparazione nel nostro ambiente (Sicilia) con l’ape ligustica.
La purezza della razza sicula è stata accertata con criteri biometrici, elettroforetici e microsatellitari; inoltre, l’esame mitocondriale ha consentito di risalire alle sue remote origini filo-africane, principalmente: micotipo A 80%, micotipo M 7-20%. Attualmente il parco d’api sicule riprodotte sulle isole e corrispondenti ai parametri di purezza è costituito da circa 120 famiglie distribuite tra Filicudi, Vulcano e la provincia di Palermo.

L’ape sicula mostra il suo volto


Sviluppo
Lo sviluppo dell’ape sicula è precocissimo: tra Dicembre e Gennaio le colonie invernatesi forti sono già su 8/9 telaini di covata, il ritmo di deposizione rimane sostenuto per l’intera primavera, poi sarà legato all’importazione di nettare e polline a cui quest’ape è estremamente reattiva anche nel periodo invernale (fioritura del nespolo Giapponese dal 30-10 al 30-12). Spregiudicata nel deporre anche in assenza di scorte, la Sicula è un’ape che difficilmente sopravviverebbe nei climi nordici, anche se confrontata alla Ligustica ha consumi di miele molto ridotti. Peraltro, è espressamente richiesta dai serricoltori per l’impollinazione delle colture protette (cantalupi, angurie, fragole) essendo, nella sua rusticità, attiva e funzionale nelle situazioni estreme dei tunnel siciliani, nei quali a Gennaio e Febbraio agli 0 °C della notte possono seguire i 45 °C del giorno; questo comportamento reattivo agli sbalzi termici estremi, dimostra che potrebbe essere inserita con successo nei paesi caldi a sud del Mediterraneo (l’Apis sicula maior è filogeneticamente legata all’ape africana).
Nel flora-clima siciliano, nella comparazione tra ligustica e sicula riguardo popolosità e numero di telaini di covata e superficie della stessa, il grafico mostra una forte differenza nella fase invernale - inizio primavera a favore della sicula; tale differenza si attenua nel periodo fine primavera-estate , in autunno avviene il sorpasso della ligustica anche con due telaini di covata in più, per poi ridurre inesorabilmente la covata anche in presenza della fioritura invernale del nespolo Giapponese.

Sciamatura
La sciamatura avviene quasi sempre dopo che sia nata qualche regina vergine; lo sciame primario non supera in genere i 1500 grammi di peso e nello sciame primario sono presenti alcune regine vergini. La regina madre può venire uccisa nell’alveare prima della sciamatura, può essere uccisa nello sciame, può prevalere sulle regine vergini.
L’alveare sciamato di solito dà origine a sciami secondari che variano da 200 a 1000 grammi; a volte, a fronte di famiglie popolosissime e di centinaia di regine sfarfallate, la famiglia non sciama affatto ed il tutto si risolve con la sostituzione della vecchia regina.L’alveare che si appresta a sciamare può produrre da 60 a 800 celle reali, le regine vergini in eccesso vengono raggomitolate nel fondo dell’arnia e in questo caso sono visibili “i gomitoli”; più sovente le regine vergini vanno in cerca al di fuori dell’alveare di famiglie orfane o fucaiole (non è raro che famiglie fucaiole messe in disparte per essere successivamente eliminate, siano trovate dopo qualche tempo con regina feconda). Le regine vergini sono state trovate anche all’interno di alveari con regina feconda, all’interno dei quali o scorazzavano sui telaini o raggomitolate sul fondo dell’arnia. Riguardo la sciamatura, per arrivare ad un grado di pari popolosità tra sicula e ligustica in primavera, bisogna sottrarre alle sicule uno o due telaini di covata settimanalmente a partire da fine Gennaio; in tal caso, nella comparazione, è venuto fuori un risultato di parità.
La caratteristica che la sicula sciami solo dopo che sia nata qualche regina vergine avvantaggia l’apicoltore perché riduce le visite di controllo per la sciamatura.

Docilità e tenuta del favo
Estremamente docili, i ceppi isolati e riprodotti nell’Isola di Ustica hanno notevole tenuta del favo, è possibile effettuare operazioni anche cruente, quali sottrazione dei melari col soffiatore senza l’uso della maschera. Tra i ceppi dell’Isola di Filicudi alcune famiglie hanno maggiore aggressività ma corrispondendo ad ambedue i parametri (biometrico ed elettroforetico) vengono come le altre riprodotte aspettando la fase di selezione biologico-produttiva.

Autodifesa
Anche se estremamente docile, l’ape sicula ha una grande abilità nell’auto-difesa. In quindici anni, lo scrivente, non ha mai assistito al saccheggio di neanche un alveare con regina, anche se debole e indifeso.

Saccheggio
Comparando per due anni 25 famiglie di api ligustiche e 25 famiglie di api sicule, ogni qualvolta avveniva un saccheggio, il  90 % delle api saccheggiatrici erano gialle.

Tolleranza alla varroa
E’ stato osservato che la riproduzione della varroa destructor viene ottimizzata a temperature che vanno da 30,7 °C a 34,7 °C  e che al disopra dei 36,5 °C l’acaro si riproduce con maggiori difficoltà; mentre a 38 °C le femmine di varroa muoiono senza riprodursi. Essendo l’ape sicula un’ape africanizzata ed avendo quest’ultima frequenti picchi di alte temperature (+2 °C rispetto alle api europee) è da verificare la tolleranza dall’ape sicula alle infestazioni di varroa. Nella Sicilia Orientale (in particolare Catania e Siracusa, dove era presente l’ape sicula Minor) le importazioni di ligustica, carnica, caucasica e per ultimo delle api Buckfast iniziate già negli anni ‘30, hanno fatto sì che proprio in quelle zone, nelle annate particolarmente avverse, avvenissero gravi morie mentre nella Sicilia Occidentale, dove l’ibridazione è stata tardiva e contenuta e da più di quindici anni si punta all’iscurimento con l’inserimento di celle reali di sicula non si è registrato lo stesso fenomeno di morie d’api.
Biodiversità è l’adattamento avvenuto da tempi remoti ad un dato ambiente e quando, come nel caso conclamato dell’Apis ligustica, a tali capacità d'adattamento si sommano caratteristiche quali popolosità, docilità, produttività, come può l’apicoltore del Nord Italia non difenderne l’integrità e la purezza? Come può non recitare infiniti mea culpa l’apicoltore siciliano, quando qualche vecchio apicoltore gli parla di una apicoltura praticata senza maschera? Qualunque analisi oggettiva della situazione fauno-apistica mondiale odierna, ci mostra come spesso noi apicoltori, anziché ingegnarci nella conoscenza della biologia dell’ape e delle tecniche produttive migliori, vogliamo differenziarci acquistando le più svariate razze d’api rendendo vana la selezione naturale avvenuta magari nel corso dei millenni. Il danno che abbiamo fatto lo notiamo nelle morie d’api che avvengono nelle annate difficili, lo notiamo nell’aggressività dell’ibrido, nell’impossibilità di effettuare una qualunque selezione.
La mia proposta è dunque quella di imitare i salmoni e le anguille che dedicano al ritorno alle origini ogni loro energia.
 
 
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Scritto in data da Carlo Amodeo
 
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